L’anno era il 1619, il quando la notte del 10 novembre e il luogo era la cittadina tedesca di Neuburg an er Donau, situata sulle sponde del Danubio. I soldati dell’esercito tedesco, in realtà non tutti, erano intenti a celebrare San Martino bevendo e festeggiando per la città. Uno di loro, invece, si trovava in una stanza con un camino acceso e si accingeva ad andare a letto. Non poteva immaginare quello che la notte gli avrebbe riservato.
“Stavo camminando per strada, assalito da un vento impetuoso che infuriava sulla città piegando gli alberi e ululando nei vani delle porte. Il vento era così forte da costringermi a camminare piegato. Vidi un collegio. Era il mio collegio di la Flèche. Vi entrai per andare nella chiesa pregare ma mi accorsi di aver incrociato una persona senza salutarla. Volevo tornare indietro per scusarmi ma il vento mi spingeva contro la chiesa. Scorsi nel cortile del collegio un’altra persona che mi chiamava: mi chiedeva se potevo andare a trovare il signor N. per portargli un melone che era arrivato da un paese straniero. Il vento era calato. Tutti erano ben dritti sulla. Tutti tranne me: ero ancora curvo e incerto sulle gambe”.
L’uomo si destò improvvisamente avvertendo <<un dolore profondo che gli fece credere si trattasse dell’opera di un cattivo genio che voleva sedurlo>>. Iniziò, così, a pregare chiedendo perdono dei suoi peccati e trascorrendo le due ore successive a meditare sul bene e sul male.
“Udii un terribile rumore, come il rombo di un tuono. La stanza era piena di scintille infuocate”.
Svegliatosi impaurito, il soldato cadde, di nuovo, nel sonno.
“Sulla scrivania c’era un libro. Lo aprii. Era un dizionario. Vidi poi un altro libro: Corpus Poetarum. Aprii un volume a casa e sulla pagina C’era una poesia: l’Idillio XV del poeta latino Ausonio, il cui primo verso recita: Quod vitae sectabor iter?  << Che via seguirò in questa vita? >> Apparve allora uno sconosciuto che mi mostrò un’altra poesia di Ausonio che cominciava con le parole Est et non. Poi ricomparve il dizionario che però non era più intero. Infine, sia il dizionario che l’uomo scomparvero.”
Il soldato autore di questi tre sogni era un giovane matematico dotato: Renè Descartes, o come tutti lo conosciamo, Cartesio. All’epoca era ventitreenne, e come a molti giovani accade, non aveva ancora deciso che corso dare alla sua vita.
Nell’Olympica, Cartesio così descriveva quel giorno: <<10 novembre 1619, pieno di entusiasmo, trovati i fondamenti di una mirabile scienza>>.
Egli stesso trovò un’interpretazione per i tre sogni, i più famosi e analizzati della storia e che avrebbero portato al connubio dell’algebra con la geometria.
Cartesio pensò che il dizionario rappresentasse tutte le scienza riunite e il Corpus poetarum l’unione della filosofia e della conoscenza. Il futuro matematico era, infatti, convinto che la poesia non fosse meno preziosa della filosofia dei grandi autori. Immaginò che la poesia Est e non rappresentasse i sì e i no di Pitagora, intesi come allusione alla verità e alla falsità nelle scienze profane. Il melone del primo sogno rappresentava la solitudine e il vento impetuoso un genio malvagio che cercava di spingerlo in un posto dove già stava andando autonomamente. Il fuoco e le scintille del secondo sogno li interpretò come lo spirito della verità che era andato a impossessarsi di lui. Infine, trovò la risposta alla domanda del poeta Ausonio: la sua missione nella vita sarebbe stata quella di unificare le scienze dedicandosi alla matematica, la disciplina in cui si era scoperto talentuoso quando, tempo prima, aveva risolto l’enigma Olandese. La filosofia cartesiana rappresenta, infatti, proprio la volontà di ricercare la verità assoluta imponendo il dominio della ragione e dalla razionalità sull’universo utilizzando i principi della logica e della matematica.
Il suo compito sarebbe stato, da allora, quello di sviluppare la geometria degli antichi greci e di trasmettere al mondo la sua nuova mirabile scienza: la geometria analitica.
Influenzato dai tre sogni si dedicò allo studio della geometria greca, alla risoluzione di problemi e alla formulazione di teorie. Sapeva che il cuore di tutto era la matematica ma non riusciva a vederne la connessione con la geometria…finchè non si ritrovò davanti un vecchio problema greco: Il problema di Delo (per chi non lo conoscesse scriverò un articolo nei prossimi giorni, l’importante è sapere che riguarda la duplicazione del volume di un cubo). Qual era il segreto del problema di Delo? Perchè non poteva semplicemente essere risolto con riga e compasso? Da qui si pose l’ultima domanda che poi lo condusse alla sua grande scoperta matematica: cosa significa costruire qualcosa con riga e compasso? Con questi strumenti si poteva tracciare la retta passante per due punti, la circonferenza avente centro in un punto e passante per l’altro, la retta perpendicolare a una retta data e passante per un punto oppure la retta parallela a una retta data e passante per un punto. Tuttavia, se fosse riuscito a contrassegnare la lunghezza numericamente, avrebbe potuto introdurre un sistema per connettere i numeri alle costruzioni geometriche: è in questo modo che la matematica avrebbe mostrato tutta la sua potenza.
Fu così che Cartesio, introducendo il piano che oggi porta il suo nome, unificò la geometria con l’algebra  risolvendo problemi allora irrisolti e indicandoci il modo di risolverne altri.


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