In fisica, con il termine onda indichiamo una perturbazione che si propaga nel tempo e nello spazio trasportando energia ma non materia.
Già gli antichi greci sapevano che una corda produce note musicali differenti a seconda del modo in cui viene sollecitata. Si dice che Pitagora avesse scoperto che due corde simili, di lunghezza differente e soggette alla stessa tensione, pizzicate insieme producevano un suono piacevole se le loro lunghezze erano in rapporto di due numeri interi e piccoli. Vari studiosi cercarono, nel corso degli anni, di determinare la relazione esistente tra l’altezza del suono e la lunghezza della corda. Per molti di loro l’altezza dipendeva dalla frequenza di vibrazione, ma come questa dipendesse dalla lunghezza della corda era un fatto ignoto. Fu solo nel 1615 che Isaac Beeckman riuscì a mostrare, con argomentazioni geometriche, che la frequenza di vibrazione era inversamente proporzionale alla lunghezza della corda. Con quest’assunzione, il rapporto tra le lunghezze scoperto da Pitagora può essere letto come un rapporto tra le frequenze. La relazione tra la frequenza f, la tensione τ, l’area della sezione della corda A, e la sua lunghezza L fu scoperta sperimentalmente da Marsenne

(f\propto \frac{1}{L} \sqrt{\frac{\tau}{A}})

e derivata matematicamente da Taylor nel 1713. Quest’ultimo, sviluppando quel ramo della ricerca matematica che oggi è chiamato calcolo alle differenze finite, riuscì a determinare la forma di una corda vibrante. Fu comunque D’Alembert che studiando il problema di una corda di violino in vibrazione, partendo dai risultati ottenuti da Bernoulli per lo stesso problema, arrivò a quella che oggi è nota come equazione della corda vibrante o equazione di D’Alembert.

 

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